Negli ultimi giorni i media hanno parlato molto di un caso drammatico legato a un parto in casa. Non entrerò nei dettagli – non conosco la storia direttamente, né sarebbe corretto farlo.
Quello che mi interessa, però, è il meccanismo che si attiva ogni volta che una notizia simile arriva alle cronache: il dibattito si accende, il parto in casa diventa un “caso”, e ancora una volta ci si divide tra chi lo demonizza e chi lo difende a spada tratta.
Eppure, ogni volta che ci fermiamo a guardare solo il luogo, rischiamo di perderci il punto centrale.
👉 Perché non è questione di casa o ospedale.
👉 È questione di approccio.
Viviamo in una società in cui la nascita è stata fortemente medicalizzata. Questo ha portato vantaggi indiscutibili sul piano della sicurezza di fronte alle emergenze, ma anche un allontanamento dalla conoscenza della fisiologia della nascita.
Così, ogni volta che qualcosa non va in un parto in casa, si punta il dito sulla scelta del “luogo”. Ma difficilmente ci chiediamo:
cosa è stato fatto (o non fatto) in quel parto,
che tipo di accompagnamento ha ricevuto la donna,
se e quando sono stati riconosciuti i segnali di una deviazione dalla fisiologia.
Non è il posto che garantisce di per sé un buon esito. È il modo in cui viene accompagnata quella nascita.
C’è un dettaglio che spesso ci sfugge: la fisiologia non cambia con i confini geografici.
Eppure i protocolli sì.
In Inghilterra il tampone per lo streptococco non è più obbligatorio, perché si è visto che non cambia gli esiti e rischia solo di creare ansia inutile.
In alcune regioni della Francia la data presunta del parto non si calcola sulla 40ª settimana, ma sull’inizio della 41ª.
I criteri per diagnosticare il diabete gestazionale cambiano da nazione a nazione.
👉 Se anche i valori di riferimento cambiano così tanto, non viene spontaneo chiedersi: “Ma allora, di cosa ci possiamo fidare davvero?”
Forse la risposta è semplice: della fisiologia, che è universale.
Qui sta il nodo vero: non è solo il “dove”, ma il “chi” e il “come”.
Se un travaglio attivo dura giorni, non è fisiologia.
Chi accompagna la donna deve avere la lucidità e l’umiltà di riconoscerlo.
Il compito non è quello di “resistere a oltranza” per dimostrare qualcosa, né di cedere al protagonismo del “io so come fare”.
Il compito è ascoltare, proteggere, sapere quando rispettare i tempi e quando invece riconoscere che è arrivato il momento di cercare un altro tipo di sostegno.
Non servono supereroi.
Serve presenza, buon senso, conoscenza della fisiologia e capacità di mettersi da parte.
Spesso si sente dire: “Un tempo di parto si moriva, quindi ora meglio così, anche se un po’ medicalizzato”.
Ma la verità è più complessa:
Si moriva perché le condizioni igieniche erano pessime.
Perché mancava l’accesso al cibo, alle cure, al sostegno sociale.
Perché quando i medici hanno iniziato a mettere mano sul parto, visitavano le donne senza lavarsi le mani, passando dalle autopsie alle nascite senza precauzioni. E così molte morivano di febbre puerperale, non di parto.
👉 La fisiologia non era “difettosa”. Era il contesto ad essere ostile.
E oggi, se da un lato abbiamo la medicina che può salvarci nelle emergenze, dall’altro abbiamo dimenticato che la fisiologia è un patrimonio da custodire, non da ostacolare.
Forse dovremmo smettere di chiedere: “Partorire in casa è sicuro?”
e iniziare a chiederci:
Chi accompagna quella nascita conosce la fisiologia?
È capace di ascoltare la donna senza volerla dirigere?
Sa proteggere lo spazio e allo stesso tempo riconoscere i limiti della fisiologia?
Perché il vero punto non è la contrapposizione tra casa e ospedale.
È come guardiamo al parto.
E ogni volta che torniamo a parlare solo di “luogo”, perdiamo l’occasione di aprire uno sguardo nuovo.
Se sei in gravidanza, la vera domanda non è solo “Dove partorirò?”, ma anche e soprattutto:
“Che approccio desidero per il mio parto?”
“Chi voglio accanto a me?”
“Che spazio di fiducia e libertà posso proteggere per me e per la mia creatura?”
Perché il parto non è un campo di battaglia tra ideologie.
È un passaggio potente, unico e irripetibile, che può segnare profondamente la tua vita e quella del tuo bambino.
La cronaca ci ricorda che le scelte contano. Ma non nel senso che ci dicono i titoli dei giornali.
Contano perché ogni donna, ogni coppia, ogni nascita merita di essere accompagnata con consapevolezza, rispetto e presenza vera.
Se vuoi orientarti tra protocolli, fisiologia e scelte consapevoli, ho creato delle guide gratuite per aiutarti a riflettere e a fare chiarezza.
👉 Le trovi qui: Risorse Gratuite
Negli ultimi giorni i media hanno parlato molto di un caso drammatico legato a un parto in casa. Non entrerò nei dettagli – non conosco la storia direttamente, né sarebbe corretto farlo.
Quello che mi interessa, però, è il meccanismo che si attiva ogni volta che una notizia simile arriva alle cronache: il dibattito si accende, il parto in casa diventa un “caso”, e ancora una volta ci si divide tra chi lo demonizza e chi lo difende a spada tratta.
Eppure, ogni volta che ci fermiamo a guardare solo il luogo, rischiamo di perderci il punto centrale.
👉 Perché non è questione di casa o ospedale.
👉 È questione di approccio.
Negli ultimi giorni i media hanno parlato molto di un caso drammatico legato a un parto in casa. Non entrerò nei dettagli – non conosco la storia direttamente, né sarebbe corretto farlo.
Quello che mi interessa, però, è il meccanismo che si attiva ogni volta che una notizia simile arriva alle cronache: il dibattito si accende, il parto in casa diventa un “caso”, e ancora una volta ci si divide tra chi lo demonizza e chi lo difende a spada tratta.
Eppure, ogni volta che ci fermiamo a guardare solo il luogo, rischiamo di perderci il punto centrale.
👉 Perché non è questione di casa o ospedale.
👉 È questione di approccio.
Viviamo in una società in cui la nascita è stata fortemente medicalizzata. Questo ha portato vantaggi indiscutibili sul piano della sicurezza di fronte alle emergenze, ma anche un allontanamento dalla conoscenza della fisiologia della nascita.
Così, ogni volta che qualcosa non va in un parto in casa, si punta il dito sulla scelta del “luogo”. Ma difficilmente ci chiediamo:
cosa è stato fatto (o non fatto) in quel parto,
che tipo di accompagnamento ha ricevuto la donna,
se e quando sono stati riconosciuti i segnali di una deviazione dalla fisiologia.
Non è il posto che garantisce di per sé un buon esito. È il modo in cui viene accompagnata quella nascita.
C’è un dettaglio che spesso ci sfugge: la fisiologia non cambia con i confini geografici. Eppure i protocolli sì.
In Inghilterra il tampone per lo streptococco non è più obbligatorio, perché si è visto che non cambia gli esiti e rischia solo di creare ansia inutile.
In alcune regioni della Francia la data presunta del parto non si calcola sulla 40ª settimana, ma sull’inizio della 41ª.
I criteri per diagnosticare il diabete gestazionale cambiano da nazione a nazione.
👉 Se anche i valori di riferimento cambiano così tanto, non viene spontaneo chiedersi: “Ma allora, di cosa ci possiamo fidare davvero?”
Forse la risposta è semplice: della fisiologia, che è universale.
Qui sta il nodo vero: non è solo il “dove”, ma il “chi” e il “come”.
Se un travaglio attivo dura giorni, non è fisiologia. Chi accompagna la donna deve avere la lucidità e l’umiltà di riconoscerlo.
Il compito non è quello di “resistere a oltranza” per dimostrare qualcosa, né di cedere al protagonismo del “io so come fare”.
Il compito è ascoltare, proteggere, sapere quando rispettare i tempi e quando invece riconoscere che è arrivato il momento di cercare un altro tipo di sostegno.
Non servono supereroi. Serve presenza, buon senso, conoscenza della fisiologia e capacità di mettersi da parte.
Spesso si sente dire: “Un tempo di parto si moriva, quindi ora meglio così, anche se un po’ medicalizzato”.
Ma la verità è più complessa:
Si moriva perché le condizioni igieniche erano pessime.
Perché mancava l’accesso al cibo, alle cure, al sostegno sociale.
Perché quando i medici hanno iniziato a mettere mano sul parto, visitavano le donne senza lavarsi le mani, passando dalle autopsie alle nascite senza precauzioni. E così molte morivano di febbre puerperale, non di parto.
👉 La fisiologia non era “difettosa”. Era il contesto ad essere ostile.
E oggi, se da un lato abbiamo la medicina che può salvarci nelle emergenze, dall’altro abbiamo dimenticato che la fisiologia è un patrimonio da custodire, non da ostacolare.
Forse dovremmo smettere di chiedere: “Partorire in casa è sicuro?” e iniziare a chiederci:
Chi accompagna quella nascita conosce la fisiologia?
È capace di ascoltare la donna senza volerla dirigere?
Sa proteggere lo spazio e allo stesso tempo riconoscere i limiti della fisiologia?
Perché il vero punto non è la contrapposizione tra casa e ospedale. È come guardiamo al parto.
E ogni volta che torniamo a parlare solo di “luogo”, perdiamo l’occasione di aprire uno sguardo nuovo.
Se sei in gravidanza, la vera domanda non è solo “Dove partorirò?”, ma anche e soprattutto:
“Che approccio desidero per il mio parto?”
“Chi voglio accanto a me?”
“Che spazio di fiducia e libertà posso proteggere per me e per la mia creatura?”
Perché il parto non è un campo di battaglia tra ideologie. È un passaggio potente, unico e irripetibile, che può segnare profondamente la tua vita e quella del tuo bambino.
La cronaca ci ricorda che le scelte contano. Ma non nel senso che ci dicono i titoli dei giornali.
Contano perché ogni donna, ogni coppia, ogni nascita merita di essere accompagnata con consapevolezza, rispetto e presenza vera.
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